La Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima, con la sentenza n. 6022 del 14 marzo 2014 ha precisato che nel concordato con cessione dei beni, l’imprenditore assume l’obbligo di porre a disposizione dei creditori l’intero patrimonio dell’impresa e non di garantire il pagamento dei crediti in una misura percentuale prefissata.
Nella domanda di concordato con cessione, l’indicazione della percentuale di soddisfacimento dei crediti è dunque necessaria al fine di consentire ai creditori di valutare la convenienza della proposta, nonché la sua fattibilità economica, ma, a meno di una espressa previsione in tal senso, non costituisce manifestazione di una volontà negoziale sulla quale si forma il consenso o l’accettazione, perché ciò equivarrebbe a ritenere sempre necessaria la soluzione della forma del contratto misto, in cui la cessione è accompagnata dall’impegno a garantire i creditori una percentuale minima di soddisfacimento, laddove l’oggetto dell’obbligazione del concordato con cessione è unicamente l’impegno a mettere i beni a disposizione dei creditori liberi da vincoli ignoti che ne impediscono la liquidazione o ne diminuiscano sensibilmente il valore.
Pertanto deve escludersi che nel concordato con cessione dei beni, ove l’entità del soddisfacimento deriva dal risultato della liquidazione, sul quale non può esservi alcuna preventiva certezza, i creditori che, ciò nonostante, hanno approvato la proposta, possono chiedere la risoluzione nell’ipotesi in cui la somma ricavata dalla vendita dei beni si discosti, anche notevolmente, da quella necessaria a garantire il pagamento dei loro crediti nella percentuale indicata, non potendosi configurare inadempimento rispetto ad un’obbligazione che il debitore non ha assunto. In tal caso l’inadempimento che giustifica la risoluzione potrà, piuttosto, essere invocato qualora il patrimonio conferito sia risultato privo delle qualità promesse ai sensi dell’art. 1497 c.c.
Né argomenti in senso contrario possono trarsi dall’art. 1984 c.c., norma dettata in tema di disciplina della cessio bonorum, la quale prevede che, se non vi è patto contrario, il debitore è liberato solo dal giorno in cui i creditori ricevono la parte loro spettante sul ricavato “nei limiti” di quanto ricevuto. Può, infatti, in linea di principio ritenersi che la cessio bonorum costituisca modello di riferimento del concordato con cessione, ma non vi è dubbio che tra i due istituti ricorrano notevoli divergenze, tali da non consentire l’applicazione pedissequa della disciplina codicistica alla procedura concorsuale, la più importante delle quali attiene proprio all’effetto esdebitatorio nei confronti di tutti i creditori, effetto che deriva dall’esecuzione del concordato nei termini in cui è stato accettato dalla maggioranza di costoro.
avv. Alfredo Riccardi