La Suprema Corte di Cassazione con recentissima ordinanza del 03 giugno 2014 registra – in tema di condizioni e limiti di utilizzo del criterio dello sbilancio tra attivo e passivo fallimentare, ai fini dell’accertamento e liquidazione del danno ascrivibile agli amministratori in sede di azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 L.F. – che in giurisprudenza si confrontano due indirizzi tra loro contrastanti e per tali ragioni ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.
Segnatamente, vi è un primo indirizzo che ritiene potersi ricorrere a tale criterio quando vi è totale mancanza della contabilità sociale ovvero una sua tenuta in maniera non intellegibile; in tal caso vi sarebbe di per sé condanna dell’amministratore al risarcimento, traducendosi tale violazione di legge in un pregiudizio del patrimonio sociale che non permette all’attore di provare il nesso causale, per cui spetterà al convenuto amministratore dimostrare la non riconducibilità del dissesto alla sua condotta.
Secondo altro indirizzo il criterio del differenziale tra attivo e passivo soccorrerebbe solo se provatamente frutto di comportamenti illegittimi posti in essere dagli organi sociali, integranti sia violazione dell’obbligo di tenuta regolare della contabilità sia quello di non compiere nuove operazioni sociali dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società, così dandosi maggior rilievo al danno che risulti conseguenza immediata e diretta delle violazioni stesse.
Avv. Angelo Di Gaeta