Lo Studio Legale Riccardi s.s. ha assistito giudizialmente un liquidatore convenuto in giudizio da un socio di una società in accomandita semplice il quale assumeva una sua responsabilità per fatti asseritamente dannosi per il patrimonio sociale.
Costituitosi in giudizio il liquidatore ha innanzitutto eccepito l’inammissibilità dell’azione risarcitoria spiegata in quanto la giurisprudenza, con orientamento pressoché costante, ha chiarito che solo quando ci sia un concreto pregiudizio alla quota del socio sia possibile esperire l’azione individuale di responsabilità, e ciò al fine di evitare che, per il medesimo “fatto”, vi possa essere una duplicazione di risarcimenti (in termini vedasi Cass. civ. n.11223/2021; Cass. civ. n.16416/2007; Cass. civ. n. 2986/2016; Cass. civ. n.1045/2007; Cass. civ. n.8359/2007; Cass. civ. n.9385/1993).
Tale orientamento trova conferma anche per le società di persone laddove si ritiene che il disposto normativo dell’art. 2395 c.c., che contiene l’avverbio “direttamente danneggiati”, sia pacificamente applicabile anche alle società di persone (in termini vedasi Cass. civ. n.16416/2007; Cass. civ. n.11223/2021; Cass. civ. n.12772/1995; Cass. civ. n.2846/1996; Cass. civ. n.2872/1992).
Nelle more del giudizio, però, veniva anche approvato il bilancio finale di liquidazione ed il relativo piano di riparto ragion per cui, successivamente, in assenza di impugnazione veniva eccepita l’inammissibilità dell’azione esperita dal socio per sopravvenuta carenza d’interesse, atteso che la formulazione dell‘art. 2311 u.c. c.c. è inequivoca nel considerare liberato il liquidatore di fronte ai soci.