La Cassazione affronta, per la prima volta, la questione delle conseguenze del mancato versamento dei conferimenti in sede di aumento del capitale sociale
Degna di nota la recente Sentenza n. 1185/2020 della prima sezione della Suprema Corte di cassazione, destinata a fare scuola in una fattispecie, ad oggi, trascurata dalla giurisprudenza di legittimità. La questione sottoposta agli ermellini è la seguente: quid iuris laddove, in sede di aumento del capitale sociale della s.r.l., uno o più soci sottoscrittori dell’aumento omettano di compiere i dovuti conferimenti ? Nessun dubbio sorge sull’applicabilità della disciplina prescritta dall’art. 2466, comma 2, c.c., in forza della quale la quota non conferita può essere venduta proporzionalmente agli altri soci ovvero messa all’incanto. Controversa, invece, l’applicazione del terzo comma dell’art. 2466 c.c. secondo cui “Se la vendita non può aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori escludono il socio, trattenendo le somme riscosse. Il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente”.
La norma, com’è evidente, risulta calibrata sulla fattispecie della costituzione della s.r.l., ove il mancato conferimento legittima, senza dubbio, l’esclusione del socio moroso, ma non fornisce spunti decisivi nella diversa ipotesi in cui il conferimento sia finalizzato all’aumento del capitale sociale e non alla costituzione del medesimo. La Sentenza in commento, partendo da una raffinata esegesi sulla riduzione “reale” e “nominale” del capitale sociale, afferma che nell’evenienza in cui il socio sia tale in virtù di una precedente sottoscrizione attuata in fase di costituzione o anche di un pregresso aumento del capitale, non potrà, invero, essere escluso per la morosità in sede di aumento del capitale sociale, mentre la riduzione del capitale riguarderà, in modo corrispondente, solo la parte relativa alla sottoscrizione operata con riferimento all’aumento de quo.
A ciò non osta, precisa la Cassazione, la presunta indivisibilità della quota di partecipazione nella s.r.l., esclusa proprio dalla lettera dell’art. 2466, comma 2, c.c. che prevede la possibilità che la quota del socio moroso possa essere venduta “agli altri soci in proporzione della loro partecipazione”.
Pertanto, risponde al precetto di legge, nonché ai principi di buona fede e correttezza i quali necessariamente informano anche i rapporti societari, che la procedura di annullamento della quota con corrispondente abbattimento del capitale sia intrapresa dall’organo amministrativo solo per la frazione della partecipazione sociale sottoscritta in occasione dell’aumento del capitale sociale rimasto in tutto o in parte ineseguito, e non per la parte di cui il socio fosse titolare prima della deliberazione di aumento stessa.
avv. Alfredo Riccardi