Rapporti di lavoro subordinato e fallimento
Con il presente articolo si pone l’attenzione sul riparto di competenza tra il giudice del lavoro e quello fallimentare nell’ipotesi di fallimento del datore di lavoro.
La giurisprudenza ha precisato, con specifico riguardo alle controversie di lavoro, che nei casi in cui il datore di lavoro sia sottoposto a procedura concorsuale, per le domande di accertamento e costitutive promosse dal lavoratore, quali ad esempio quelle volte alla dichiarazione di illegittimità o inefficacia del licenziamento ed alla relativa reintegrazione, non viene meno la competenza del giudice del lavoro, mentre per le domande di pagamento di somme di danaro – nel caso di fallimento – si verifica la vis attractiva del foro fallimentare (in questi termini si è espressa Cass. 19248/2007; Cass. 3129/2003; C. 7075/2002; Cass. 13580/1999; Cass. 8708/1999; Cass. 5567/1998; Cass. 4146/1997).
Il discrimen tra la competenza del giudice del lavoro e quella del giudice fallimentare può essere così sintetizzato (cfr. la recentissima Cass. civ. 16443/18): nelle domande di competenza del giudice del lavoro rileva un interesse del lavoratore alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa, sia in funzione di una possibile ripresa dell’attività, sia per la coesistenza di diritti non patrimoniali e previdenziali, estranei alla realizzazione della par condicio (cfr. Cass. civ. 19308/16; Cass. civ. 2975/17; Cass. 24363/17); in quelle spettanti al giudice fallimentare, invece, rileva invece solo la strumentalità dell’accertamento di diritti patrimoniali alla partecipazione al concorso sul patrimonio del fallito.