Recenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione e la stessa prassi dell’Amministrazione finanziaria inducevano a considerare intangibile il debito IVA nell’ambito di procedure concordatarie, e ciò sull’assunto che si tratterebbe di risorsa propria dell’Unione europea.
Con la sentenza del 7 aprile 2016, resa nella causa C-546/14, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, Sezione seconda, ha ribaltato l’orientamento che si era venuto a delineare all’interno dell’ordinamento italiano ed ha ritenuto ammissibile nel concordato preventivo il pagamento parziale dei crediti IVA.
Tutto parte del Tribunale fallimentare di Udine al quale era stata sottoposta una proposta di concordato preventivo liquidatorio, con previsione di pagamento integrale di alcuni creditori privilegiati ed il pagamento parziale di creditori privilegiati di grado inferiore, tra cui l’Erario con riferimento al debito per IVA.
Il Tribunale interessava della questione la Corte di Giustizia UE, ponendo la seguente questione pregiudiziale: “Se i principi e le norme contenuti nell’[articolo] 4, paragrafo [3, TUE] e nella direttiva [IVA], così come già interpretati nelle sentenze della Corte [Commissione/Italia (C-132/06, EU:C:2008:412), Commissione/Italia (C-174/07, EU:C:2998:704) e B…C… (C-500/10, EU:C:2012:186)], debbano essere altresì interpretati nel senso di rendere incompatibile una norma interna (e, quindi, per quanto riguarda il caso qui in decisione, un’interpretazione degli [articoli] 162 e 182 ter [della legge fallimentare]) tale per cui sia ammissibile una proposta di concordato preventivo che preveda, con la liquidazione del patrimonio del debitore, il pagamento soltanto parziale del credito dello Stato relativo all’IVA, qualora non venga utilizzato lo strumento della transazione fiscale e non sia prevedibile per quel credito – sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente e all’esito del controllo formale del Tribunale – un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare”.
Secondo il parere preventivo dell’Avvocato Generale, “Né l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, né la direttiva 2006/12/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, ostano a norme nazionali come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, qualora tali norme debbano essere interpretate nel senso di consentire ad un’impresa in difficoltà finanziaria di effettuare un concordato preventivo che comporta la liquidazione del suo patrimonio senza offrire il pagamento integrale dei crediti IVA dello Stato, a condizione che un esperto indipendente concluda che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale credito in caso di fallimento e che il concordato sia omologato del giudice”.
Sempre secondo l’Avvocato Generale, sarebbe ammesso il soddisfacimento parziale del debito per IVA (resta ferma, ovviamente, la possibilità che l’Amministrazione finanziaria creditrice voti contro il concordato), ove:
– il debitore ricorrente non abbia deliberatamente occultato parte dell’attivo o omesso di denunciare uno o più crediti;
– un esperto indipendente attesti che l’amministrazione tributaria non avrebbe miglior soddisfazione in caso di fallimento.
La sentenza della Corte Ue pone il suggello definitivo sui condivisibili argomenti dell’Avvocato Generale (posizione che era stata fatta propria anche dal CNDCEC con comunicato del 18 gennaio 2016).
La Corte, infatti, ha ritenuto che: “L’articolo 4, paragrafo 3, TUE nonché gli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito dell’imposta sul valore aggiunto attestando, sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento”.
E a tanto perviene la Corte, posto che “l’ammissione di un pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo che […] non costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’IVA, non è contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione”.
A questo punto, è immaginabile che i Tribunali fallimentari italiani si allineeranno alla posizione espressa dalla Corte Europea (fermo restando che, allo stato, non sembra chiaro se la falcidia possa riguardare tutti i concordati, ovvero solo quelli liquidatori).
In proposito, è utile ricordare che alcune, rare, pronunce, ponendosi in contrasto con la Corte di Cassazione e la prassi di cui si è detto, avevano anticipato i principi ora confermati dalla Corte UE: ci si riferisce, in particolare, al decreto del 17 febbraio 2016 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, III Sez. Civ., che aveva ammesso la falcidia del credito erariale, ed alla sentenza della Corte d’Appello di Bologna del 24 dicembre 2015, che aveva consentito il degrado del credito IVA per rivalsa.
avv. Alfredo Riccardi