L’ABF di Napoli con la decisione n.7639/2014 ha recentemente statuito sulla legittimità della richiesta di un chiamato all’eredità (non nel possesso dei beni) di accedere ai conti correnti bancari intestati al de cuius.
Il ricorrente, nello specifico, lamentava la mancata consegna dei documenti relativi alle “posizioni bancarie del defunto anche nella di lui qualità di amministratore e socio unico di due società a responsabilità limitata”, asserendo che ciò costituiva violazione del disposto dell’art. 119, comma 4°, TUB, nonché dell’art. 460 c.c.
In particolare, la prima norma prevede che il cliente, il suo successore o chi subentri nell’amministrazione dei suoi beni abbia diritto di ottenere, a proprie spese ed entro un congruo termine, non superiore a novanta giorni, copia di atti o documenti bancari relativi ad operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. D’altro lato la norma del codice civile che disciplina i poteri del chiamato prima dell’accettazione lo legittima ad esercitare le azioni possessorie e a compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea.
Il Collegio, nel rigettare il ricorso, ha ritenuto tuttavia non applicabili al caso di specie né l’art. 119, comma 4° TUB, rilevando il difetto in capo al ricorrente della qualità soggettiva a cui la norma ricollega il diritto ad ottenere le informazioni e i documenti richiesti; né l’art. 460 c.c. intendendolo, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, che vantava nella fattispecie il ruolo di amministratore provvisorio dei beni ereditari, come volto a preservare i diritti di chi è chiamato all’eredità secondo la mera logica di una tutela cautelativa.
La decisione, così costruita, suscita a ben vedere più di una perplessità.
È la posizione del chiamato di fronte all’intermediario a non essere stata sufficientemente chiarita dal Collegio. Difatti i poteri che il codice civile attribuisce al delato prima dell’accettazione sono, ictu oculi, finalizzati a conservare le prerogative ereditarie, sia per il caso in cui il medesimo poi accetti divenendo a tutti gli effetti successore del defunto, sia anche per il caso opposto in cui decida di rimanere estraneo alla vocazione.
E se la via dell’accettazione è senza dubbio quella auspicata dal sistema, che ambisce ad attribuire un successore ad ogni patrimonio, la via della rinuncia è a tal punto contemplata come plausibile tanto che il legislatore le dedica un’apposita disposizione, l’art. 461 c.c., per chiarire che in tal caso le spese sostenute dal chiamato dopo l’apertura della successione e fino alla determinazione abdicativa sono a carico dell’eredità.
La rinuncia, invero, è un esito naturale della chiamata, tanto quanto l’accettazione, e la gestione del chiamato prevista dall’art. 460 c.c. è considerata utile dal legislatore al punto da metterne le spese a carico di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda successoria (cfr. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, 6aed., Torino, 2013, p. 97).
Se dunque l’ordinamento lascia al chiamato, sia questi o meno nel possesso dei beni ereditari, la facoltà di rinunciare all’eredità o comunque di non accettare, la via dell’accettazione beneficiata suggerita dal Collegio nella decisione da cui prendono spunto queste considerazioni non può essere una valida risposta alla richiesta del chiamato di accedere alla documentazione bancaria. Il delato non può, cioè, essere costretto ad accettare l’eredità sia pure nella forma beneficiata per conoscere la consistenza dell’asse, perché in questo modo gli si precluderebbe la via abdicativa che invece egli deve poter percorrere con cognizione di causa.
Assolutizzando le indicazioni del Collegio, in pratica, il chiamato in ogni ipotesi in cui non abbia precisa cognizione dello stato patrimoniale del defunto perderebbe la facoltà di rinunciare (a meno di non volerlo fare al buio) e si vedrebbe offerta dal sistema l’unica via dell’accettazione beneficiata che, pur in un’ottica di limitazione di responsabilità, implica “fatiche” e costi e nasconde sempre l’insidia della possibile decadenza dal beneficio.
Risulta allora in definitiva avvalorata la conclusione che il chiamato all’eredità abbia un diritto a ricevere informazioni sulla massa ereditaria.
Indici significativi nel senso ora descritto si possono comunque ricavare, a ben vedere, anche dall’art. 119, comma 4°, TUB, a cui si è fatto cenno in premessa, che stabilisce che possano avere accesso alla documentazione bancaria (tanto più se si stratta di un duplicato di quanto a suo tempo già inviato al cliente, così Porzio, Testo unico bancario, Commentario a cura di Porzio et alii, Milano 2010, sub art. 119, p. 1003) oltre al cliente, il suo successore e chi subentra nell’amministrazione dei suoi beni.
Va detto che nessuna delucidazione utile ai nostri fini viene dalle Disposizioni della Banca d’Italia in tema di trasparenza e correttezza degli intermediari. Nemmeno si rinvengono ad adiuvandum precedenti specifici tra le decisioni dell’ABF, che piuttosto hanno affrontato in materia il profilo oggettivo della consistenza dell’istanza ostensiva (ABF Roma, n. 528/2015; ABF Roma, n. 678/2915; ABF Milano, n. 882/2013), non senza un’impropria sovrapposizione tra la figura del chiamato e quella dell’erede (ABF Roma, n. 581/2015); e dal punto di vista soggettivo hanno trattato solo il caso della legittimazione del terzo garante (ABF Milano, n. 663/2013), dell’accollante (ABF Roma, n. 514/2013) e nella specifica materia successoria del legatario che, ai fini dell’art. 119, comma 4°, tub è stato equiparato all’erede (ABF Milano, n.6632/2014).
Resta però il testo della norma, che appare abbastanza eloquente per i profili che qui interessano. Invero, se è evidente che il nostro chiamato, che è solo un successibile, non può essere tecnicamente considerato un successore del cliente, né tanto meno direttamente tale, non del tutto azzardata sembra essere la sua riconducibilità alla qualifica soggettiva di «colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni».
È ben vero che il TUB si riferisce con questa espressione al curatore fallimentare e a figure assimilabili nelle altre procedure liquidative, e che proprio in quest’ottica, in ossequio agli orientamenti giurisprudenziali, la formulazione dell’art. 119, comma 4°, è stata modificata nel 1999 con il d.lgs. n. 342. Nulla osta, tuttavia, a che nel campo applicativo della norma de qua possano essere fatti rientrare in via interpretativa anche altri soggetti, tra i quali appunto il chiamato all’eredità. Il delato ha poteri di amministrazione temporanea del patrimonio ereditario; la sua posizione è addirittura considerata alternativa a quella del curatore dell’eredità giacente, del cui ruolo di amministratore non si dubita. E, se rinuncia, ha l’obbligo di rendere il conto allo stesso modo in cui vi è tenuto un amministratore.
avv. Edgardo Riccardi