Il Tribunale di Roma, con un’interessante decisione del 15/03/2015, delinea le varie ipotesi di finanziamento della società da parte del socio fissando le condizioni per la restituzione in presenza di un futuro aumento di capitale sociale.
Il Tribunale capitolino precisa che tra l’ipotesi dell’erogazione di fondi dal socio alla società a titolo di mutuo e quella del formale conferimento a titolo di aumento di capitale (già deliberato), la prassi ha elaborato una terza “via”, costituita da versamenti, variamente denominati, la cui comune caratteristica consiste nell’essere destinati ad incrementare il patrimonio della società – talvolta anche sotto forma di copertura di perdite – senza però riflettersi sul capitale nominale della società stessa e senza perciò essere sottoposti ai vincoli legali propri del capitale sociale in senso stretto.
Invece i versamenti dei soci in conto futuro aumento del capitale sociale, una volta eseguiti, vanno a costituire una riserva – non di utili ma di capitale – soggetta alla stessa disciplina della riserva da sovrapprezzo, seppure personalizzata o targata, in quanto di esclusiva pertinenza dei soci che hanno effettuato i versamenti in relazione all’entità delle somme da ciascuno erogate.
Nell’ampia categoria degli apporti finanziari dei soci destinati ad incrementare il patrimonio della società occorre distinguere tra i versamenti genericamente effettuati in conto capitale e quelli che si riferiscono ad un futuro e ben determinato aumento del capitale sociale. I primi costituiscono apporti di patrimonio dei quali la società è libera di disporre come di qualsiasi altra riserva (anche, ma non necessariamente, adoperandoli in futuro per aumentare il capitale nominale), senza che possa venire in questione alcun diritto al rimborso del socio fin quando non sia stata liquidata l’impresa collettiva; i secondi sono avvinti da un collegamento causale a un prossimo aumento del capitale sociale, con la conseguenza che il versamento eseguito dal socio è solo provvisoriamente da includere tra le riserve e deve poi, ove l’assemblea effettivamente deliberi l’ipotizzato aumento del capitale nominale della società, rifluire in quest’ultima posta di bilancio ed assumere i caratteri tipici del conferimento di capitale.
Nel caso di versamento destinato ad un futuro e ben determinato aumento di capitale poi non deliberato dall’assemblea (la quale, ovviamente, è del tutto libera nelle sue determinazioni), il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato per essere venuta successivamente meno la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società.
Nell’attività ermeneutica volta a ricostruire la natura dell’apporto non può conferirsi valore decisivo alle denominazioni adoperate, occorrendo, piuttosto, ricostruire il contenuto concreto dell’accordo intercorso tra le parti del “rapporto di conferimento” (società e soci eroganti). Laddove sia pacifico che il versamento del socio alla società sia stato effettuato non a titolo di mutuo bensì come apporto di capitale di rischio, il diritto alla restituzione delle somme erogate, prima e al di fuori del procedimento di liquidazione della società, sussiste solo qualora il conferimento sia stato risolutivamente condizionato alla mancata successiva deliberazione assembleare di aumento del capitale nominale della società e la delibera in questione non sia intervenuta entro il termine convenuto dalle parti o fissato dal giudice.