La Suprema Corte di Cassazione con sentenza n.10105 del 9 maggio 2014, Rel. Nazzicone, interviene sul problema del Trust liquidatorio ritenendo che lo stesso, in presenza di un preesistente stato di insolvenza, non sia riconoscibile nell’ordinamento italiano, sancendone la nullità.
Questa pronuncia merita di essere segnalata perché, sebbene non presenti particolari profili di innovatività, costituisce l’ennesimo indice della tensione tra la prudenza con cui la giurisprudenza valuta il ricorso al Trust nella materia della crisi di impresa e una prassi che, invece, insinuandosi negli spazi offerti da un’elaborazione teorica non ancora matura, mostra un crescente entusiasmo nei confronti di questo strumento.
I giudici di legittimità con la citata pronuncia hanno affermato che il trust liquidatorio non ha l’effetto di segregazione desiderato, malgrado il fine dichiarato di provvedere alla liquidazione della società nell’esclusivo interesse del ceto creditorio e l’apposizione della clausola che preveda, in caso di procedura concorsuale sopravvenuta, la consegna dei beni ai creditori.
La nullità, secondo la Cassazione, non discende dal contrasto con talune disposizioni della Convenzione dell’Aja sul Trust (art. 15 co. 1, lett. e), bensì dall’assenza di una causa negoziale, la quale a sua volta può asserirsi in ragione della non riconoscibilità nel nostro ordinamento di un Trust liquidatorio, in presenza di uno stato di insolvenza (non riconoscibilità, questa sì, conseguente all’operatività delle norme della Convenzione). In realtà, il Trust liquidatorio è uno schema ampio, all’interno del quale si collocano ipotesi diverse. La prima ricorre quando tutto il patrimonio di una società in via di scioglimento viene conferito in un trust al fine di procedere a una liquidazione negoziale che, nei fatti, si sostituisce a quella codicistica, svuotando di contenuti il ruolo del liquidatore. In questa ipotesi il problema è stabilire se l’autonomia privata possa appropriarsi di un ambito presidiato dalla disciplina legale della liquidazione: la costituzione del trust potrebbe essere diretta a eludere i penetranti dispositivi di controllo e di responsabilità, posti a tutela dei soci e dei creditori, cui il liquidatore è soggetto (cfr. Tribunale Reggio Emilia, 14 marzo 2011).
Anche il Tribunale di Napoli nel mese di marzo 2014 aveva sancito la nullità del trust liquidatorio istituito quando l’impresa versa in uno stato di crisi o di insolvenza. Questo trust è secondo il Tribunale partenopeo nullo in quanto, sebbene costituito con il dichiarato intento di assicurare il maggiore soddisfacimento dei creditori, è «elusivo della disciplina fallimentare e in particolare delle norme inderogabili che presiedono alla liquidazione concorsuale». Detto esito viene attinto dall’art. 15, lett. e, della Convenzione dell’Aja sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento (ratificata con l. 16 ottobre 1989 n. 364): le disposizioni inderogabili dettate in materia di «protezione di creditori in casi di insolvibilità» costituiscono il limite dinanzi al quale si arresta l’obbligo di riconoscimento imposto dalla Convenzione. Tali sarebbero le regole che individuano nelle procedure concorsuali la risposta all’insolvenza dell’impresa commerciale.
Pertanto – ecco l’approdo finale del ragionamento – un trust che sottragga il patrimonio aziendale al fallimento è nullo.
La tesi della nullità del Trust istituito dall’imprenditore o dalla società in stato di insolvenza, così come sancito dalla Suprema Corte di Cassazione, si allinea comunque con un orientamento consolidato della giurisprudenza di merito (Trib. Napoli 03 marzo 2014, Trib. Milano, 16 giugno 2009; Corte App. Catania, 16 novembre 2012; Trib. Milano, 27 maggio 2013).
avv. Angelo di Gaeta