Esclusione del socio dalla compagine sociale e compensazione tra il credito per netto ricavato dalla vendita/liquidazione delle proprie azioni e debito sociale
Il Tribunale delle Imprese di Napoli, relatore dott. M. Fucito, con la sentenza n.1697/2023, di seguito riprodotta, ha rigettato la domanda di un socio che era stato escluso dalla compagine sociale e che aveva impugnato, sotto molteplici profili, la delibera che aveva decretato la sua esclusione.
La sentenza in commento esamina e rigetta, perchè infondati, tutti i motivi di censura dedotti dal socio accertando la sussistenza dei gravi motivi che hanno condotto alla sua esclusione dal sodalizio.
Tra le varie contestazioni sollevate dal socio v’era anche quella di una compensazione unilaterlmente compiuta dalla società tra il credito spettante al socio escluso e nascente dalla liquidazione delle sue azioni con il debito che questi aveva nei confronti della società.
Sull’argomento il Tribunale, condividendo la tesi difensiva dello Studio Legale Riccardi, ha rilevato che la clausola che consentiva la compensazione, essendo contenuta nello Statuto sociale, avrebbe dovuto essere impugnata tassativamente nei termini di legge di cui all’art. 2377 o all’art. 2379 c.c.; entrambi ampiamente spirati al momento della proposizione della domanda giudiziaria!
Il Tribunale, poi, prosegue precisando che “la norma dell’art. 2529 [corrispondente all’attuale 2535 c.c.] che prevede la liquidazione della quota o il rimborso delle azioni del socio uscente sulla base del bilancio dell’esercizio in cui il rapporto sociale si scioglie, ha carattere dispositivo perché attiene a diritti patrimoniali del socio che, in quanto tali, rientrano nella sua disponibilità e possono essere convenzionalmente sacrificati, per un’incentivazione del fine mutualistico, la quale per di più risponde alle linee di indirizzo della disciplina cooperativistica” (ex multis, Cass. n. 4201/1998).
Il legislatore nel disciplinare all’art. 2535 c.c. la liquidazione della quota o rimborso delle azioni del socio uscente, sancisce, al comma 2, che “la liquidazione della partecipazione sociale, eventualmente ridotta in proporzione alle perdite imputabili al capitale, avviene sulla base dei criteri stabiliti nell’atto costitutivo”, con ciò riconoscendo ampia autonomia statutaria nella predeterminazione dei criteri di liquidazione, sicché ogni censura al riguardo deve ritenersi convenzionalmente superata dall’approvazione dello statuto che il socio effettua in sede di ingresso nella compagine sociale o successivamente non impugnando la delibera di modifica statutaria.
A dirimere la questione, in modo ancor più pregnante, soccorre il dato letterale normativo sancito all’art. 1252 c.c.
Se, infatti, ai sensi dell’art. 1252, comma 1, c.c., la compensazione volontaria può realizzarsi “per volontà delle parti” anche se non ricorrono “le condizioni previste dagli articoli precedenti” – ossia le condizioni stabilite per aversi compensazione legale – a norma del comma 2 dello stesso art. 1252 c.c. “le parti possono anche stabilire preventivamente le condizioni di tale compensazione”.
Ne consegue che una clausola statutaria che stabilisca preventivamente le condizioni e i criteri di liquidazione della quota in favore del socio escluso, prevedendo la possibilità di una compensazione volontaria, altro non è che una concreta espressione dell’autonomia negoziale offerta dal combinato disposto degli artt. 2535 comma 2 e 1252 comma 2 c.c. e, pertanto, non può che ritenersi legittima.