E’ inammissibile il concordato preventivo di una società cancellata dal Registro delle Imprese.
Ad affermarlo è una recentissima pronuncia della Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, ordinanza 20 Febbraio 2020, n. 4329 .
Già nel 2015 i giudici di legittimità avevano affermato che il combinato disposto degli artt. 2495 c.c. e 10 L.F. impedisce al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cui, entro l’anno dalla cancellazione, sia domandato il fallimento, di richiedere il concordato preventivo.
Quest’ultima procedura, infatti, diversamente dalla prima, che ha finalità solo liquidatorie, tende alla risoluzione della crisi di impresa, sicché l’intervenuta e consapevole scelta di cessare l’attività imprenditoriale, necessario presupposto della cancellazione, ne preclude ipso facto l’utilizzo, per insussistenza del bene al cui risanamento essa dovrebbe mirare (così: Cass. civ. 20 dicembre 2015, n. 21286).
Il dato cruciale di tale ragionamento è rappresentato dalla persistente esistenza, o meno, di una realtà imprenditoriale rispetto alla quale possa porsi l’esigenza di assicurare, attraverso la procedura concordataria, la risoluzione della crisi con le modalità previste dal legislatore.
Pertanto, l’imprenditore che volontariamente cessi l’attività di impresa tiene un comportamento a lui imputabile che preclude l’utilizzo di strumenti finalizzati alla composizione della crisi dell’attività imprenditoriale.
Siffatta soluzione è, peraltro, stata recepita, per il futuro, dal codice della crisi di impresa.
A norma dell’ultimo comma dell’art. 33 del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, che reca la disciplina della cessazione dell’attività in relazione a tutte le procedure, viene espressamente considerata inammissibile la domanda di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall’imprenditore cancellato dal registro delle imprese.