Con la Sentenza n. 3886 del 25 febbraio 2015 la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, afferma dei principi nuovi e per certi versi innovativi statuendo che non c’è trust se non c’è trasferimento di beni a un trustee (e quindi il trust “auto-dichiarato” non esisterebbe) e soprattutto che l’imposta di donazione si applica nel momento in cui il disponente vincola i beni in trust, perché grava sulla istituzione di vincoli di destinazione, a prescindere dal fatto che vi sia un trasferimento patrimoniale da un soggetto all’altro.
Nella fattispecie giunta dunque all’esame della Suprema Corte nella sentenza n. 3886/2015, due coniugi (proprietari di immobili) si erano “auto dichiarati” trustee di se stessi, con l’intento di realizzare una destinazione dei beni vincolati in trust analoga a quella che si ottiene stipulando un fondo patrimoniale. La Cassazione anzitutto (senza che questa fosse la materia del giudizio) sconfessa pesantemente questa impostazione affermando che : «il regolamento (…) realizzato dai coniugi (…), benché sia denominato trust, non ne ha la fisionomia: ne manca, difatti, uno dei tratti tipologicamente caratteristici, ossia il trasferimento a terzi da parte del settlor dei beni costituiti in trust». In altri termini, per la Cassazione non esisterebbe il trust “auto-dichiarato”: si tratta di un’affermazione assai impressionante, perché se è vero che il trust “auto dichiarato” può far sorgere fortissimi sospetti di essere simulato, e quindi di essere una struttura fittizia o una costruzione artificiosa (si vedano in tal senso le sentenze di Cassazione n. 13276/2011 e n. 21621/2014), da qui a dire che il trust auto-dichiarato non esiste c’è, evidentemente, un salto enorme. Non solo perché le leggi straniere che disciplinano il trust ammettono pacificamente il trust auto-dichiarato, non solo perché nell’ordinamento italiano esiste una pluralità di fattispecie di vincoli “auto-istituiti” (il fondo patrimoniale, l’eredità beneficiata, il vincolo di cui all’articolo 2645-ter, le separazioni patrimoniali all’interno delle SGR, eccetera), ma anche perché nella pluriennale prassi professionale quotidiana vi sono continue applicazioni di questo schema, come nel caso degli escrow account, e cioè dei depositi di somme in garanzia che un professionista riceve per conto dei suoi clienti. Dopo dunque aver praticamente bollato di inesistenza il trust venuto al suo esame, la Cassazione passa a stabilirne la tassazione (ripetendo con identiche parole la decisione contenuta nelle predette sentenze n. 3735 e 3737 del giorno precedente) con un esito durissimo: ciò che è oggetto di tassazione è l’istituzione del vincolo in sé (a prescindere dal fatto che vi sia, o meno, trasferimento di patrimonio) e, dato che non ricorre il presupposto dell’attribuzione donativa tra parenti in linea retta (proprio perché non vi è alcun trasferimento patrimoniale, ma solo, appunto, l’istituzione di un vincolo), l’aliquota delle imposte indirette applicabile allora sarebbe quella massima, vale a dire l’8% (oltre, evidentemente, al 2% per l’imposta ipotecaria). Ma non finisce qui. Dato che la tassazione concerne il vincolo di destinazione in sé e per sé, allora, secondo la Suprema Corte oggetto di tassazione (con ciò debordando dalla fattispecie soggetta al suo giudizio) devono essere anche i vincoli di destinazione previsti dall’articolo 2645-ter del codice civile: qui però senza dubitare della loro liceità essendo strutture che la legge stessa consente; ma, se c’era una cosa che appariva certa fino a ieri, questa era la non tassabilità dell’atto istitutivo del vincolo previsto dall’articolo 2645-ter del codice civile che non comportasse un trasferimento patrimoniale. Non perché lo sostenesse qualche contribuente particolarmente avventato, ma perché da sempre lo dice l’Agenzia delle Entrate, ad esempio nella “famosa” circolare n. 3 del 22 gennaio 2008, emanata all’indomani della estensione (con Dl 262/2006) dell’imposta di donazione agli atti istitutivi dei vincoli di destinazione.
Avv. Angelo di Gaeta