La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, di recente, si è nuovamente pronunciata sull’ipotesi di evasione tributaria realizzata per mezzo della stipulazione di trust. Nel caso di specie il liquidatore di una società, allo scopo di evadere le imposte dirette sul valore aggiunto, avrebbe costituito fraudolentemente un trust per rendere inefficace, in tutto o in parte, la procedura di riscossione coattiva; la Suprema Corte ha ritenuto configurarsi il reato di cui all’art. 11 del D.Lgs. n.74/2000, rubricato “Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte” (Cass. Pen., sent. n. 15449/2015).
La suindicata norma sanziona chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a tali imposte, per un ammontare complessivo superiore a 50.000 euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Ebbene, nella pronuncia sopra richiamata gli ermellini hanno rilevato l’illegittimità della costituzione del trust in ragione dell’evidenza dello scopo fraudolento della costituzione medesima e della finalità unica di sottrarre il patrimonio del contribuente alla procedura coattiva.
L’operazione di costituzione del trust avrebbe comportato, quale unica conseguenza, la sottrazione del patrimonio societario ad eventuali azioni dell’erario finalizzate alla riscossione delle imposte; i giudici hanno ritenuto rilevante ai fini di questo convincimento anche il fatto che disponente e trustee coincidessero con la medesima persona dell’imputato e la dichiarata finalità liquidatoria indicata nell’atto costitutivo del trust; a tal proposito è stata evidenziata la inutilità della costituzione del trust per la suddetta finalità, ben potendo, i creditori, in caso di liquidazione, vedere soddisfatti i proprio crediti senza problemi di priorità temporale quando il patrimonio sociale fosse sufficiente a tale scopo, ovvero, in caso di insufficienza, per mezzo del ricorso alle procedure concorsuali tipiche.
Dunque, per la configurabilità del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, secondo la corte di nomofilachia, è sufficiente che l’atto simulato di alienazione o gli altri atti fraudolenti sui beni siano idonei ad impedire il soddisfacimento totale o parziale del credito tributario, non essendo necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione in atto (Cass. Pen., Sez. III, 9 aprile 2013, n. 39079); questo significa che, sotto il profilo psicologico, deve sussistere il dolo specifico, rappresentato dal fine di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributario e, sotto il profilo materiale, deve porsi in essere una condotta fraudolenta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva; l’esecuzione coattiva non configura un presupposto della condotta, in quanto è prevista dalla legge solo come evenienza futura che la condotta, idonea, tende a neutralizzare (Cass. Pen., Sez. III, 6 marzo-9 aprile 2008, n. 14720).
Il reato in questione si caratterizza come reato di pericolo, rispetto al quale la condotta penalmente rilevante può essere costituita da qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente volto a ridurre la capacità patrimoniale del contribuente stesso, riduzione da ritenersi, con un giudizio ex ante, idonea sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, a vanificare, in tutto o in parte, o comunque a rendere più difficile, una eventuale procedura esecutiva.
Avv. Angelo Di Gaeta