Con la sentenza n.9100/2015 del 06/05/2015 la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è pronunciata in termini di quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità promosse contro gli amministratori di società fallite.
Il caso finito alle Sezioni Unite partiva da un’azione intentata nel 2001 contro l’amministratore unico di una srl napoletana, condannato in primo e anche in secondo grado per aver consentito la distrazione di beni custoditi nei locali aziendali, per non aver tenuto i libri sociali e per non aver predisposto i bilanci di due annualità.
La questione posta ai supremi giudici nel ricorso per legittimità riguardava la correttezza del criterio di liquidazione del danno legato alla differenza tra l’attivo e il passivo accertati nell’ambito della procedura concorsuale. Sul punto, la giurisprudenza degli ultimi trent’anni era risultata ondivaga, passando da posizioni strettamente spirate al rapporto obbligazionario tra soggetti, a criteri più marcatamente equitativi.
Con la citata pronuncia le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: “Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell’art. 146, comma secondo, legge fallimentare, la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, che integra solo un parametro per una liquidazione equitativa, ove ne sussistano le condizioni, sempreché il ricorso a tale criterio sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, che l’attore abbia indicato le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore.”.
avv. Alfredo Riccardi